“L’artigianato è un’ attività lavorativa in cui gli oggetti utili e decorativi sono fatti completamente a mano o per mezzo soltanto di semplici attrezzi.” Dalla fonte Wikipedia l’artigianato è appiattito in un “fare a mano”. Il ruolo dell’artigianato italiano si dipana in innumerevoli campi, tutti a un livello assolutamente di pregio.
Se da un lato la nostra vita sarà sempre più condizionata da tecnologia, informatica e robotica, la grande tradizione artigianale italiana non è affatto destinata a scomparire anzi, nei prossimi anni aumenteranno le richieste di professionalità basate su competenze umane che le macchine non possono rimpiazzare come manualità, ingegno e creatività.
Recenti studi sulle tendenze dell’occupazione concordano nell’affermare che l’artigianato sarà tra le professioni più ricercate nei prossimi 10 anni.
Tra i paesi industrializzati l’Italia occupa un posto privilegiato in quanto la sua secolare tradizione delle botteghe artigiane di eccellenza è riconosciuta nel mondo.
Il Made in Italy è sinonimo di artigianato.
“In un Paese come l’Italia, famoso per i suoi prodotti di alta qualità, dove la disoccupazione giovanile è altissima e scarseggiano carpentieri, fornai, sarti, l’artigianato diventa una grande opportunità. L’Italia si ritrova tra le mani un formidabile strumento di crescita e innovazione.
Uno studio europeo attribuisce all’artigianato “la capacità di creare nuove fonti di reddito sia per i tradizionali laboratori a gestione individuale e vendita diretta ai clienti, sia per le piccole imprese artigiane a conduzione familiare che operano a livello locale”.
Il successo globale del sito Etsy, il mercato virtuale nato a New York nel 2005 ed interamente dedicato ai manufatti artigianali, ne è un esempio. Nello studio si legge che Etsy conta “oltre 1 milione di artigiani che vendono le loro creazioni senza intermediari, il che ha permesso al sito di generare nel solo 2012 un fatturato di circa 900.000 euro. L’88% di coloro vendeprodotti artigianali su Etsy sono donne e che il 97% di queste donne lavora direttamente da casa”; a conferma che l’attività artigianale favorisce anche l’occupazione femminile.
“I mercati online favoriscono la vendita dei manufatti artigianali e delle produzioni su piccola scala, destinate a soddisfare le esigenze di un numero sempre maggiore di persone che preferiscono la produzione fatta su misura, locale, biologica ed ecologica, alla produzione industriale di massa“.
Negli anni 2000, la bottega artigiana non è solo il luogo in cui si producono oggetti di altissima qualità e dove si custodiscono saperi tramandati di generazione in generazione, ma anche il luogo dove c’è maggiore innovazione e spazio per la creatività. L’artigiano è un innovatore attraverso la creazione, la scelta e la sperimentazione di nuovi materiali.
L’e-commerce ha reso possibile usare la rete per proporsi, vendere in tutto il mondo “stando a casa propria” prodotti per una clientela sempre più esigente. La prospettiva per l’artigianato, il più importante settore produttivo di oggetti personalizzati a livello globale, è molto promettente. Grazie a internet, l’artigianato fa un passo verso il futuro, a patto che cambi, cresca e si evolva. Con la capacità di costruire soluzioni su misura per le esigenze di ogni singolo acquirente, deve reinventare se stesso. Solo nel territorio lombardo, la spesa dei turisti intercettata dal settore artigiano ammonta al 27% della spesa turistica totale nei comparti artigianali di abbigliamento, calzature e prodotti agroalimentari.
L’idea di un Turismo lento
Abbiamo scritto spesso di antiche e nuove vie cicloturistiche. Vecchi percorsi di pellegrini e nuovissimi collegamenti tra città. Benissimo, ma talvolta, in terre lontane dal traffico, mancano i luoghi di relax. La notizia interessante è che cento immobili in disuso o in stato di abbandono saranno dati in concessione gratuita (9 + 9 anni) o in concessione di valorizzazione (fino a 50 anni) per essere trasformati in piccoli hotel, punti ristoro o luoghi per attività ricreative. Vecchie case cantoniere, locande, masserie, ostelli, ma anche piccole stazioni, caselli idraulici, ex edifici scolastici, torri, palazzi storici, monasteri e antichi castelli, pronti a diventare strutture turistiche da scoprire rigorosamente a piedi o in bicicletta. E tutto in concessione gratuita.
È un progetto di Valore Paese-Cammini e Percorsi, il progetto dell’Agenzia del Demanio, con Mibact e Mit, per promuovere l’idea di un turismo lento. Per quest’anno gli immobili messi a disposizione sono 43 gestiti dall’Agenzia del Demanio, 50 dagli Enti territoriali e 10 da Anas. Dalla Via Appia, alla Via Francigena, dal Cammino di Francesco al Cammino di San Benedetto. Alle ciclovie Vento, Sole e Acqua, dall’alta Irpinia all’entroterra salentino.
Il progetto, che rientra nel Piano Strategico del Turismo e del Piano Straordinario della Mobilità turistica e che punta a potenziare l’offerta turistico-culturale alleggerendo le destinazioni già sovraffollate, prevede il coinvolgimento di operatori privati o imprese, cooperative e associazioni composte in prevalenza da giovani under 40. Nel 2018 e 2019 verranno assegnati altri cento immobili all’anno. Dal Mibact arriveranno 3 milioni di euro per fornire un tutoraggio alle start up che parteciperanno al progetto e accompagnarle nei primi 2 anni di vita.
“Le grandi infrastrutture sono anche i cammini e le ciclovie: per questo abbiamo già finanziato quasi 100 percorsi, perché sono un altro modo di sviluppare turismo ed economia, grazie alla nascita di nuove attività imprenditoriali. Inoltre hanno dei costi che si ammortizzano velocemente”. Parola del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Delrio.
Nonostante il fiatone, un bel respiro.
Il Triangolo della lunga Vita
E’ quanto emerge da uno studio del MedEatResearch, il Centro di ricerca sociale sulla dieta mediterranea dell’università di Napoli Suor Orsola Benincasa, la dieta mediterranea aggiunge anni alla vita e soprattutto aggiunge vita agli anni. Dal 2012 il centro di ricerca sta svolgendo un’indagine sui tassi di longevità rapportati agli usi e costumi della popolazione del Cilento, dove i centenari sono un esercito.
L’Italia è tra i primi 50 Paesi maggiormente in salute su un totale di 163. La speranza di vita alla nascita della popolazione è stimata in 80,6 anni per gli uomini e 85,1 per le donne. A livello europeo l’Italia si colloca al 4° posto per entrambi i generi. A contribuire al record c’è ladieta mediterranea che, se seguita correttamente, aiuta a prevenire malattie neurodegenerative, cardiovascolari e obesità. Per noi italiani non è “una dieta”, è la nostra tradizione, il nostro cibo. Una ricetta semplice: il consumo quotidiano di frutta e verdura di stagione, legumi e cereali, pesce azzurro, pasta, pane, uova e olio di oliva. Un consumo oculato di latticini e vino, con carne bianca e poca carne rossa, sono gli elementi cardine della dieta nostrana. Ci sta anche qualche dolce, senza sentimenti di colpa. E movimento, aria pulita e il piacere della tavola e il gusto di mangiare in compagnia.
Da giugno 1997, il Cilento è inserito nella rete delle Riserve della biosfera del Mab-Unesco: una particolare aree protetta che tutela la biodiversità e promuove uno sviluppo compatibile. Dal 1998 è anche patrimonio mondiale dell’umanità.
“Dall’indagine è emerso che, rispetto al resto d’Italia, si vive molto più a lungo e in salute, anche senza essere dei privilegiati. La longevità da queste parti è un bene comune. Già negli anni Sessanta l’aspettativa di vita media aveva toccato quegli standard che il resto d’Italia dovrebbe raggiungere nel 2025”.
È questa la formula che ha trasformato alcuni paesi della provincia di Salerno in un caso di studio internazionale. Paestum, Acciaroli, Pollica, Pioppi, Agnone, San Mauro, Velia e Castellabate.
Ridurre la dieta mediterranea a una mera tabella nutrizionale è un errore, perché non è sufficiente calcolare proteine e carboidrati, ci vuole anche un ambiente sano e ritmi umani.
Una ricetta sana e buona per nutrire il futuro.
E ora non andate a mangiare una carota al volo.
La sedia di Napoleone
Ci sediamo tutti, anzi siamo più spesso seduti che in piedi. Cosa c’entra la sedia di Napoleone? In Liguria si produce la sedia Chiavarina, una sedia antica prodotta dai Fratelli Levaggi, artigiani altamente specializzati che costruiscono le autentiche Sedie artigianali di Chiavari con metodi e materiali tradizionali, con una continua attenzione alla sperimentazione e alla ricerca. Eleganti, robuste e leggerissime, le sedie Chiavarine sono lavorate e rifinite interamente a mano con cura e passione.
“La sedia di Chiavari è un’invenzione straordinaria, merito del grande genio creativo di Giuseppe Gaetano Descalzi, abilissimo ebanista chiavarese. Nel 1807 stimolato dal sodalizio con la Società Economica di Chiavari il Descalzi (soprannominato “Il Campanino” perché discendente da una famiglia di campanari) rielaborò alcuni modelli di sedie francesi di stile impero, semplificandole. La nuova sedia apparve subito in tutta la sua singolarità: un design di grande modernità, pulito e minimale, privo degli eccessi decorativi tipici del tempo, ma soprattutto una struttura del tutto inedita che lasciò tutti sbalorditi (e ancora oggi non smette di farlo) per la sua capacità di unire leggerezza estrema ad una robustezza senza pari. Si narra perfino che per testarne la bontà costruttiva, il Campanino volle gettare la sedia dalla finestra della sua abitazione: pare che la seggiola, pesante poco più di un chilogrammo, sia rimbalzata sulla strada sottostante senza rompersi, dando prova delle sue caratteristiche straordinarie”. “Così grazie alla sue doti di assoluta unicità la Chiavarina conobbe in breve tempo una rapida e vastissima diffusione che la condusse in tutte le corti più importanti d’Europa e ricevette l’apprezzamento di personaggi storici, da Napoleone III a Francesco I di Borbone fino ad arrivare a tempi più recenti, con la celebre comparsa alla Casa Bianca durante lo storico incontro tra Reagan e Gorbaciov”.
L’architetto e designer Gio Ponti trasse ispirazione dal sistema strutturale della sedia di Chiavari per la sua sedia Superleggera del 1955.
Oggi la produzione artigianale delle Chiavarine prosegue con lo stesso procedimento, anche se in forma più moderna. I legni utilizzati in origine furono il ciliegio selvatico e l’acero, a cui si aggiunsero il faggio e il frassino. I Fratelli Levaggi scelgono il legno dei boschi dell’entroterra ligure, come da tradizione, individuando le piante destinate alla lavorazione e tenendo conto del periodo stagionale e delle fasi lunari. Per ottenere un prodotto ottimale, la stagionatura del legno deve seguire regole precise. Il legno viene essiccato attraverso la libera circolazione dell’aria, per un periodo tra i due i i cinque anni a seconda dello spessore delle assi. La seduta in origine veniva realizzata con sottili strisce di salice palustre, intrecciata a mano in trama e ordito direttamente sul telaio della seggiola e annodata secondo il sistema ideato dallo stesso Descalzi. Ora l’impagliatura viene eseguita con filamenti di giunco indonesiano, conosciuti anche come paglia di Vienna o canna d’India. La lucidatura completa la fase di lavorazione per proteggere a lungo il legno.
Sleeping Beauties
Il sito web Magical Earth descrive così: “The only moment of glory of Rocca Calascio was many centuries ago 1985, when it served as the set for the fantasy film Ladyhawke”. “Calascio’s pure air and gorgeous scenery…”.
Rocca Calascio, Abruzzo, uno dei paesi aquilani ristrutturati e rinati al turismo. Case abbandonate e diroccate vendute a1 euro.
Non per questo prive di fascino, anzi. Chi le ha acquistate si è accollato le spese di un progetto sostenibile di ristrutturazionee messa in sicurezza, rispettando l’architettura iniziale e l’ambiente circostante. Un progetto che ha destato molta curiosità e che nei bellissimi borghi ristrutturati di Santo Stefano di Sessanio e Rocca Calascio, hanno risvegliato il turismo. Case vendute a 1 euro anche nel centro storico di Lecce nei Marsi, paese di nemmeno duemila anime del Parco nazionale dell’Abruzzo. Oggi la cittadina marsicana ha una densità demografica di soli 26 abitanti per chilometro. All’appello mancano i giovani. Tutti possono accedere all’iniziativa, soprattutto le giovani coppie.
Le case sono state date in donazione ai Comuni, che le rimetteranno in vendita con procedura pubblica al costo di un euro. Il fine è quello di recuperare e restituire alla collettività abitazioni in via di rovina, ridando così vita al centro storico. Si spera così di ridurre il fenomeno dello spopolamento delle aree interne.
Come tanti centri montani e collinari dell’appennino, nel corso degli ultimi decenni Lecce nei Marsi è stato progressivamente svuotato dal fenomeno dell’emigrazione verso le coste e verso l’estero. Una terra dove il terremoto ha contribuito all’esodo verso altri luoghi. Ma qui la tranquillità è un valore, un pregio.
Per acquistare una casa non occorre però andare solo in Abruzzo, sono molti i comuni italiani che vogliono ripopolare i loro borghi, come Salemi in Sicilia, che ha iniziato questo progetto già nel 2008. Sempre in Sicilia, a Regalbuto, un piccolo paese di appena 9000 abitanti ai piedi dell’Etna. Gli immobili fatiscenti da ristrutturare sono numerosi ma cedendoli ad un euro il Comune spera di attirare nuovi residenti, e perché no anche stranieri affascinati dalle bellezze paesaggistiche e dalla storia del luogo. Anche a Montieri, in Toscana, di recente è partita l’iniziativa “Case ad un euro” e l’iniziativa ha avuto un tale successo che anche l’ambasciata ungherese e polacca ha chiamato per avere informazioni. Oggi due dei dieci immobili in vendita ad un euro sono state acquistate e ristrutturate con meno di 50000 euro.
L’ultimo in ordine di adesione è il Comune di Nulvi, a quindici minuti di distanza dal mare cristallino del nord della Sardegna.
Sleeping beauties molto attive.
Omne vivum ex ovo – ogni essere vivente nasce dall’uovo
Non c’è Pasqua senza uova, simbolo della vita, del rinnovamento e della fecondità. Un simbolo potente della rinascita della vita, del ritorno della primavera e della sconfitta della vita sulla morte. La tradizione un tempo voleva che il venerdì santo i bambini portassero le uova in chiesa per farle benedire, per poi distribuirle ai poveri o portarle a casa. L’uovo divenne così il primo alimento del giorno di Pasqua, consumato a colazione per rompere il digiuno e messo in bella mostra sulla tavola per il pranzo.
Ogni essere vivente viene dall’uovo, così il detto latino.
In questo periodo, cosa è meglio delle uova? Quelle sode, con pane, salame e vino nuovo nella mattina di Pasqua; sempre sode a spicchi o intere nelle torte salate presenti nelle tradizioni della cucina italiana. E nelle ciambelle, nelle torte, nelle colombe, nei mille biscotti siciliani a forma di cesto, prete, cuore, campana accompagnati da uova in numero generalmente dispari. Per Pasqua la tradizione le vuole sode, dipinte o decorate.
Quasi tutte le regioni italiane hanno una ricetta di focaccia pasquale a base di uova, ma la parte del leone la fa la Liguria dove troviamo la Torta Pasqualina, che della primavera usa i suoi prodotti, cioè uova, erbette, cipolline nuove, maggiorana, un tempo presenti in ogni orto ligure.
La Pasqualina è ripiena di uova intere sode e di formaggio, questi due ingredienti un tempo rappresentavano cibi costosi che le famiglie potevano permettersi solo nelle ricorrenze speciali e nelle festività religiose. Nel Genovesato si usa la prescinsêua genovese, ovvero un prodotto caseario tipico simile ad una cagliata acida, molto leggera e introvabile al di fuori della provincia.
Tipico della cultura culinaria napoletana, il Casatiello Campano è una ciambella salata a base di formaggio, salame,con sopra le uova sode, disposte ad intervalli regolari; ha una preparazione lunga e laboriosa, ma il risultato premia l’impegno.Risalente al ‘600, il suo nome sembra derivi dall’inflessione napoletana di formaggio, ingrediente contenuto nell’impasto.
E come fare senza la Pastiera napoletana, una torta meravigliosa farcita di ricotta, frutta candita, zucchero, uova e grano bollito nel latte. Inconfondibile il suo profumo d’acqua di fiori d’arancio. Ha il riconoscimento di prodotto agroalimentare tradizionale campano.Si narra che venne preparata
Artigianato della moda ecofriendly
La moda può far bene all’ambiente? Si, oggi si possono tingere vestiti e accessori utilizzando tinte 100% naturali, realizzate con gli scarti agricoli. Si possono anche creare tessuti partendo dalle foglie del carciofo, dalle bucce delle cipolle ramate, dalle scorze del melograno, dai ricci delle castagne, fino ai residui della potatura dell’ulivo e del ciliegio. Considerando che la produzione mondiale di indumenti è destinata a crescere del 63% entro il 2030, possiamo valutarne l’impatto ambientale. Sapevate che la produzione di una semplice t-shirt richiede in media 2.700 litri d’acqua, generando elevate emissioni di CO2e utilizzando soprattutto fibre e coloranti di sintesi? La difesa dell’ambiente richiede sempre più capi ecosostenibili. Al momento il costo di produzione e di vendita è maggiore del 25%, ma con grande beneficio. La priorità è quella di costruire nuovi sistemi di produzione a minore impatto ambientale. Le tinture naturali sono anche un valido aiuto ai problemi in aumento di dermatiti allergiche da contatto, dovute ai coloranti sintetici.
Nel 1988 a Umbertide, Perugia, Gianni Berna ha introdotto gli alpaca. Prima con due esemplari portati dall’Inghilterra, poi con il primo allevamento di alpaca in Italia, iniziato con trenta esemplari, fino a costruire una filiera completa dell’agro-tessile, dal gregge alla tosatura e filatura della lana, fino al confezionamento di maglioni, sciarpe e coperte, senza l’uso di acrilici e sintetici.
Un altro esempio è l’archeologa e tessitrice di Campotosto, Assunta Perilli, che da più di dieci anni si occupa di tessitura a mano e di lavorazioni tradizionali di lana, lino e canapa. Ha recuperato un’antica varietà di lino e le sue lavorazioni tradizionali, confezionando per esempio, il kilt donato a Carlo d’Inghilterra dal sindaco di Amatrice, dopo il terremoto del 2016.
Il progetto ForestsforFashion con le ecodesigner Francesca Dini e Anna Maria Russo, ha portato in passerella per la prima volta al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite di New York, una collezione di moda total green con abiti prodotti da filati di cipresso, pelle di fungo e tessuti in sughero, eucalipto e faggio.
L’ultima maestra
A Sant’Antioco, in Sardegna, vive l’ultima tessitrice di bisso marino. È una fibra tessile di origine animale, una sorta di seta naturale marina ottenuta dai filamenti secreti da una specie di molluschi bivalvi marini, endemica del Mediterraneo e chiamata anche nacchera o penna, la cui lavorazione è stata sviluppata esclusivamente nell’area mediterranea. L’ultima maestra di tessitura della “la seta del mare” è Chiara Vigo. “Il bisso non si vende e non si compra. Non ha peso e non ha tatto”. Un prodotto antico che non ha commercio. Su 100 immersioni si recuperano al massimo 300 grammi di grezzo, 30 grammi di pulito, che sono 21 metri di filo ritorto. Una volta seccata produce un filamento sottile e pregiato. In Italia la pinna nobilis è tutelata da un decreto di protezione che però non riguarda il suo habitat. Una misura inutile.
Chiara lo lavora da oltre quarant’anni, provienente da una famiglia di antica tradizione: il nonno era maestro di tessitura e la nonna di tele da museo. Conserva il suo filo prezioso in un baule con una ricetta di famiglia e continua a lavorarlo ogni giorno nel suo laboratorio. Arrivano ospiti da tutto il mondo per vederla filare questo filamento speciale; Chiara Vigo, mentre lavora, sussurra una cantilena della tessitura in ebraico. Per produrre le sue tele, fila e schiarisce il bisso, che in seguito può essere tinto in modo vegetale o marino. “Aggiungendo succo di melograno e semi di limone, si ottengono diverse tonalità di rosso, dal mattone al rosso scarlatto”. Chiara Vigo non rivela i dettagli della lavorazione e della conservazione, ma confessa di averne ancora in quantità.
Un tempo si pensava che il bisso fosse una qualità superiore di lino o addirittura di cotone, ignorando praticamente l’esistenza dell’omonima fibra animale. Dal bisso si ricavavano pregiatissimi e costosi tessuti con i quali, probabilmente già nell’antichità, si confezionavano tessuti e vesti, ostentati come veri e propri status symbol dai personaggi più influenti delle società babilonese, assira, fenicia, ebraica, greca e infine romana. Il bisso inoltre aveva spiccate proprietà terapeutiche conosciute dai pescatori, in quanto grazie alla sua potente proprietà emostatica era usato per la medicazione delle ferite che i pescatori frequentemente si procuravano con gli arnesi da pesca.
Chiara Vigo collabora con la Facoltà di Chimica di Bologna e il Max Planck di Berlino e con il Dipartimento di Biologia Marina di Cagliari.
photo credit: Wikimedia Commons
Cicloturismo in Italia, una crescita che pedala
È un affare da 7,6 miliardi l’anno. Sono sempre più i turisti che si muovono in bicicletta, nel 2018 le presenze cicloturistiche nelle strutture ricettive e nelle abitazioni private, ammontavano a 77,6 milioni, l’8,4% dell’intero movimento turistico in Italia. Si tratta cioè di oltre 6 milioni di persone che hanno trascorso una vacanza utilizzando la bicicletta. È quanto emerge dal primo rapporto Cicloturismo e cicloturisti in Italia realizzato da Isnart-Unioncamere e Legambiente, presentato a Roma nel corso del BikeSummit 2019.
È una tendenza in forte crescita, infatti i dati parlano di un aumento del 41% in cinque anni. Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente spiega che: “Oggi più che mai, le ciclovie e il turismo ciclabile rappresentano una straordinaria opportunità per il turismo, l’economia, l’occupazione, ma anche per le aree interne del nostro Paese. È quindi evidente che l’Italia, con tutto il suo patrimonio culturale, artigianale e industriale, ha di fronte la necessità di una revisione radicale del suo modello di trasporti. La strada è tracciata, ed è una ciclovia“.
I turisti che ogni anno in Italia percorrono in bicicletta tutto il loro itinerario sono circa 1,85 milioni, mentre chi usa la bicicletta nel luogo di soggiorno sono circa 4,18 milioni di persone. A questi si aggiungono gli oltre 700.000 ciclisti urbani, che usano ogni giorno la bicicletta sui percorsi casa-lavoro o altro, che portano il totale a circa 6,73 milioni di persone. L’economia della bicicletta è una realtà molto diffusa, ma in Italia siamo ancora indietro riguardo l’intera rete organizzativa di accoglienza. Nel Paese sono stimate circa 440 bici ogni 1.000 abitanti, mentre nei Paesi Bassi e in Germania il rapporto è quasi di 1 a 1.
Tornando al rapporto citato, tra le principali regioni di partenza dei cicloturisti figurano diverse aree del Centro Sud, quasi un quinto dei cicloturisti proviene dalla Campania, seguita da Lombardia e Lazio, mentre le principali destinazioni di soggiorno sono tutte collocate nell’area settentrionale del paese: Trentino, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana. La Germania è il principale mercato estero di origine dei flussi interessati alla vacanza attiva, seguita da Francia, Stati Uniti e Regno Unito.
Le mani costruiscono ponti
“Building Bridges” è sicuramente il progetto più ambizioso dell’intera carriera artistica di Lorenzo Quinn, figlio del celebre attore Anthony e della sua seconda moglie, la costumista veneziana Iolanda Addolori.
“Support”, le mani gigantesche che sorreggevano Ca‘ Sagredo, simboleggianti una richiesta d’aiuto dei palazzi veneziani, è stata la più fotografata della scorsa Biennale. Lorenzo Quinn ora regala a Venezia un’altra scultura monumentale. Un progetto imponente, alto 15 metri e lungo 20. Ancora mani, 6 paia, come soggetto. L’opera, „Building Bridges“ “Costruire Ponti”, è stata installata all’Arsenale di Venezia e sarà inaugurata nel corso di un evento esclusivo con un concerto di Andrea Bocelli.
Un ponte simbolo di unione ed espressione dell’ambizione e dell’aspirazione dell’uomo. L’installazione, al centro della sua visione artistica e del mondo, descrive sei valori universali dell’umanità: amicizia, fede, aiuto, amore, speranza e saggezza. Ognuno di questi valori è rappresentato dalle mani, che si uniscono per superare le differenze e costruire un mondo migliore.
“Il simbolo di tutto quello che unisce. Le mani sono al centro del mio lavoro perché con le mani facciamo tutto: il bene, possiamo fare il male. Creiamo arte. Accarezziamo i nostri figli. Sento la responsabilità di lasciare qualcosa ai nostri figli, questo mondo da noi ricevuto in prestito dai nostri padri per conservarlo e possibilmente renderlo migliore prima di consegnarlo ai nostri figli… Le mani. Senza le mani non possiamo agire. E quest’epoca che ci è toccata vivere è un’epoca nella quale c’è bisogno di lavorare. Insieme. Con le mani. Per costruire qualcosa. I ponti, sicuramente. Faccio arte visibile a tutti, alla gente, perché per me l’arte è patrimonio del mondo, senza frontiere”.
Nato a Roma nel 1966, un’infanzia vissuta a cavallo fra Italia e Stati Uniti, dopo una breve parentesi da attore, Lorenzo Quinn ha scelto l’arte e in particolare la scultura, ispirato dai grandi maestri come Michelangelo, Bernini e Rodin. Le sue opere sono esposte a Doha, alle Nazioni Unite, all’Hermitage di San Pietroburgo, a Singapore, in India, in Canada e in gran parte delle capitali europee. Uno scultore davvero di respiro internazionale.
Costruire ponti a Venezia, città della cultura universale.